«La diagnosi dei disturbi», continua Diaz, «dovrebbe avvenire in maniera precoce per far sì che il bambino possa beneficiare dei supporti terapeutici necessari e che i genitori, spesso adottivi, non siano abbandonati, ma informati. È importante sottolineare che, per quanto si tratti di una disabilità, la vita di chi ne è affetto può comunque essere soddisfacente e attiva. I genitori che si avvicinano all’adozione devono sapere che questo problema esiste, ma che si può affrontare senza restare soli».

AUTORE

Elisabetta Gramolini

CATEGORIA

Rassegna Stampa

POSTATO IL

Novembre , 2018

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Madre Rivista

Ci sono malattie che generano vergogna.
Non se ne parla e in qualche modo così è come se non esistessero. Invece i bambini e gli adulti colpiti dal disordine dello spettro feto alcolico esistono. L’Italia è fra i cinque Paesi al mondo più a rischio. Il dato non dovrebbe stupire. Soprattutto chi, almeno una volta, ha sentito dire a una donna incinta la frase assolutoria: «Un goccetto di vino, che sarà mai!». Nel nostro Paese, l’argomento è tuttora trattato con un atteggiamento ambivalente. Da una parte, lassismo e ignoranza concedono alla futura mamma di assumere alcol anche in gravidanza. Dall’altra, parlare dei disturbi generati sul feto proprio dall’esposizione a sostanze alcoliche è quasi un tabù.
Secondo la letteratura scientifica, non esistono evidenze sul minimo quantitativo di alcol che una donna può assumere durante i nove mesi di gestazione senza comportare danni al nascituro. La prescrizione, quindi, in base alle linee guida dell’Organizzazione mondiale della sanità, è di non toccare, fin dal concepimento, nemmeno una goccia del liquido che “fa buon sangue”. Anzi, per allontanare i rischi sarebbe buona pratica evitare l’alcol fin da quando si cerca di rimanere incinte.
Nasce l’associazione contro l’alcol in gravidanza
Per diffondere il messaggio «zero alcol in gravidanza» lo scorso settembre è nata l’Associazione italiana disordini da esposizione fetale ad alcol e droghe (Aidefad), presieduta da Claudio Diaz. Lui, nel 2010, con una vita alle spalle segnata da disturbi comportamentali e problemi di dipendenze, ha iniziato a scavare nel passato per risalire ai genitori biologici. Adottato dieci giorni dopo la nascita, non aveva mai cercato di conoscere chi l’avesse messo al mondo. Solo dopo una lunga trafila fra tribunali e uffici ha scoperto il nome sia della madre sia del padre, alcolisti e tossicodipendenti, deceduti entrambi intorno ai quarant’anni. La diagnosi di spettro dei disordini feto-alcolici è arrivata per Claudio qualche anno dopo…

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